Mi chiamo Antonella D.M. e per tanti anni ho indossato due facce.
La prima era quella ufficiale: laurea in Psicologia, posto fisso in un ente pubblico che a ventiquattro anni mi era sembrato il miracolo della stabilità. “Hai già lo stipendio assicurato!”, dicevano i parenti. E in effetti, per un po’, lo pensai anch’io.
La seconda faccia, quella che nessuno vedeva, era fatta di notti insonni, brividi improvvisi, battiti impazziti in coda alla posta. L’ansia bussava alla mia porta con puntualità inglese, sempre nei momenti in cui avrei dovuto sentirmi «arrivata».
Il lavoro che non era un sogno
Il famoso “posto fisso” non assomigliava alle promesse. Giorni uguali, mansioni lontane da ciò che avevo studiato, una gerarchia che premiava l’anzianità e non la passione. Ogni mattina mi sedevo alla scrivania e provavo quella fitta allo stomaco: il corpo sapeva che stavo tradendo i miei desideri.
Il divorzio e la voragine dei debiti
A trent’anni il colpo di scena: un matrimonio che credevo solido si sbriciolò in pochi mesi. Divorzio, carte bollate, spese legali, covid, metà dello stipendio assorbita da rate e mutui. Non era solo questione di soldi. Era la sensazione di non riconoscermi più — né come studentessa, né come moglie, né come professionista, né come donna. Nel giro di dodici settimane persi 15 chili, il sonno e gran parte dell’autostima. Incidente mortale stradale e positiva al covid (i chili li ripresi per via della bomba di vitamine e cortisone)
I “finti superpoteri” e la resa del corpo
Sono sempre stata quella forte, la colonna per gli altri. Ma la vita sa bussare quando stai accumulando troppo nei barili dell’anima: tradimenti di amici, bugie in famiglia, cattiverie sul lavoro, la società sempre più il mondo dei balocchi, il disordine economico e mentale. Arrivò il primo attacco di panico “ufficiale”: in ufficio, luce al neon, stavo consegnando un fascicolo e il cuore partì a 180 bpm. Mani sudate, vista sfocata, la certezza di svenire. Mi rifugiai in bagno, cercavo di ascoltare i miei sintomi. «È ansia: riposo e magnesio.» Riposo?! Il mutuo non aspetta. Magnesio? Il mio cervello rideva isterico.
La scelta di tirare il freno a mano
Una sera, sola in cucina, realizzai che stavo vivendo in modalità “sopravvivi e incassa”. Presi un foglio e scrissi:
Cosa mi fa sentire intrappolata?
Cosa posso controllare da domani mattina?
La risposta alla prima domanda era lunga una pagina.
La risposta alla seconda stava in una riga: il mio respiro!
L’incontro concreto con la CBT
Leggevo manuali su Freud alle 17:00 e gridavo al corpo «Dammi tregua!» alle 2 di notte, tremando senza motivo apparente. Finché non incontrai un modulo sulla terapia cognitivo‑comportamentale (CBT). Lessi la prima frase del manuale Beck & Clark e rimasi folgorata: “Non è l’evento che genera disagio, ma il significato attribuito all’evento.”
Il concetto era semplice, ma quello che serviva era pratica. Iniziai con la respirazione quattro‑sette‑otto, cronometro alla mano; poi un diario dei pensieri automatici (“Se resto bloccata? Morirò”). Cercavo le prove a favore e contro. Il 90 % era frutto di catastrofismo: lo sapevo, ma leggerlo nero su bianco mi spiazzò. Da lì nacque l’idea di micro‑esposizioni. Continuai così con gli appunti universitari di terapia cognitivo‑comportamentale. Stavolta non era teoria: era la mia àncora. Iniziai dai fondamentali: respirazione quattro‑sette‑otto, diario dei pensieri-catastrofi, micro‑esposizioni (dieci minuti al supermercato invece di scappare). Segnai ogni micro‑vittoria su un quaderno: “19 marzo – rimasta tutta la riunione al 6° piano (ansia 6→3)”. Quando sommai tre settimane di vittorie mi resi conto che il panico non era un mostro invincibile ma un circuito nervoso che potevo allenare.
Il cervello è comandato dalla mente - la mente dalla tua volontà - il fisico è soltanto il sintomo e quindi la conseguenza !!!
Nasce “la nuova Antonella” e il diario dei 18 giorni
La pressione economica non sparì, la burocrazia del divorzio nemmeno. Ciò che cambiò fu la lente: invece di chiedermi “Perché succede a me?” iniziai a domandarmi “Cosa posso fare con ciò che ho oggi?”.
Durante i mesi successivi trasformai ogni conquista in un esercizio scritto. Non volevo dipendere da «giorni buoni»: volevo una mappa. Mi accorsi che se lasciavo passare più di tre giorni senza allenamento mentale, la spirale riprendeva. Così nacque un diario auto‑imposto di 18 giorni, numerati come in un programma di allenamento. Ogni giorno conteneva una tecnica CBT e un mini‑compito:
* Giorno 1 – Respirazione 4‑7‑8
* Giorno 4 – Gratitudine al corpo (camminata consapevole)
* Giorno 10 – Esposizione media 5 minuti in fila alle poste
Dopo tre cicli da 18 giorni iniziai a dormire 6 ore di fila.
Ogni giorno 15 minuti: poco più della pausa caffè in ufficio. Il cambiamento non esplose: si accumulò, come gocce in un secchio. Un mattino salii in auto senza pensarci, misi la benzina e partii. Alzai lo sguardo e mi uscì un sorriso nervoso: “Sono dentro, e ho tutto sotto controllo.”
Perché 18 giorni?
Per spezzare l’inerzia serve tempo, ma non un’eternità. Diciotto giorni sono abbastanza per creare un’abitudine e brevi per non scoraggiarsi. Ogni lezione dura circa 15 minuti: il tempo di scorrere Instagram. Ho curato i colori pastello perché il cervello ricordi la calma, ho inserito planner e box diario perché la carta fissa i pensieri più della mente vagante.
La promessa non è miracoli, bensì strumenti concreti:
Respirare senza iperventilare,
Esporsi senza fuggire,
Pensare senza catastrofizzare.
Il resto — la costanza, la curiosità, la gentilezza — lo metti tu.
Da quaderno privato a guida condivisa: Il desiderio di restituire
Negli ultimi due anni ho visto amici, colleghi e perfetti sconosciuti scrivere «attacco di panico sintomi» su Google alle tre di notte. Ho pensato: se avessi avuto un manuale semplice, empatico, pratico, forse avrei guadagnato mesi di vita serena.
I colleghi non mi hanno mai chiesto nulla: si limitavano ad osservarmi da lontano o sui social. Quando parenti e amici invece iniziarono a chiedermi «Che cosa stai facendo di diverso?», capii che il mio quaderno poteva diventare un sentiero per altri. Ed è qui che nasce Antoleads: un nome ibrido fra il mio e “leads”, che in inglese vuol dire “conduce, guida”.
Nei miei tre mesi di malattia, ho trasformato quel quaderno in una guida digitale di 18 giorni, con planner e spazio note, perché ognuno possa replicare il percorso senza sedute costose e senza doversi districare in manuali universitari di 500 pagine.
Non sono “guru”, non sono “coach motivazionale”: sono una ragazza che ha fatto del proprio dolore un laboratorio e che ora vuole restituire, guidare e non subire.
OGGI
Ho una bussola: non torno più al punto zero, so dove trovare il nord quando il corpo suona l’allarme.
• Prendo l'auto (nonostante l'incidente), esco e vado in posti chiusi, faccio la spesa nell’ora di punta.
• Mi circondo di persone solo autentiche, positive e non ingannevoli.
• Lavoro, lavoro, lavoro e mi dedico ad Antoleads.
• Ho ancora tante rate da pagare, sì, ma non ho più il debito emotivo con me stessa.
Questa guida è la mia stretta di mano: non cancellerà tutte le paure, ma ti darà gli strumenti per navigarle ed affrontarle con coraggio e consapevolezza. E' il mio modo di camminare al tuo fianco senza invadere il tuo spazio. Se vorrai aprirla, sottolinearla, strappare le pagine per appenderle al frigo, ne sarò felice: significa che la trasformerai in vita e non in teoria.
Grazie per essere qui.
Qualunque strada tu stia percorrendo, spero che una parte di questa storia diventi presto la tua: quella dove, a fine corsa, il cuore batte forte non per paura, ma per entusiasmo.
Antonella D.M. – Fondatrice di Antoleads, ansia‑survivor, collezionista di piccoli respiri liberi.

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